Personalmente so bene come voterò in questo referendum, ma so anche che in questo clima elettorale multipassionale, che spacca in due il paese e talvolta anche le persone, ho una “responsabilità emozionale” particolare, come psicoterapeuta, nei confronti di chi ha con me una relazione transferale.

Non è qui il caso di definire analiticamente il transfert tra analista e paziente: basti dire che questo tipo di relazione è strutturata del tessuto connettivo emozionale di tutte le interazioni, reali e immaginarie, che intercorrono tra loro.

Chi offre sostegno in un percorso che ha lo scopo di liberare una persona da condizioni di disagio e sofferenza, nate nella tenera infanzia, ha a che fare con movimenti viscerali spesso in contrasto tra loro, in un continuo gioco di riflessioni, rifrazioni e riverberi inaspettati: amore, dolore, rabbia, paura, odio...

La sensibilità e la consapevolezza dello stato del transfert (e del controtransfert, che ne è il corrispettivo sul versante dei movimenti emozionali dell’analista) sono un compito fondamentale per uno psicoterapeuta, che non può mai essere posto in secondo piano, in quanto la dinamica viscerale è in continuo e a volte imprevedibile movimento.

Da che ho avuto percezione diretta e consapevole di elezioni di vario tipo, ho constatato che l’elemento passionale prevale su quello razionale, nella maggior parte delle persone.

Attualmente poi, con la risonanza dei social network, che ormai quasi tutti frequentiamo, le dinamiche emozionali si propagano: alla passionalità individuale si viene a collegare anche quella delle dinamiche virtuali (ma non per questo non reali) delle interazioni on line.

Qualcuno ritiene che con la Rete le informazioni circolino maggiormente e che venga facilitato un atteggiamento razionale di tipo analitico.

A me sembra che, in questa fase ancora primitiva dell’uso della comunicazione on line, il moltiplicatore viscerale abbia la meglio, attivato anche dalla notevole diffusione di notizie false o manipolatorie, che col fatto che si vedono scritte e pubblicate nel WEB, sembrano avere una consacrazione di veridicità.

Mi ricorda molto l’atmosfera culturale degli anni 50 e 60 relativamente alla TELEVISIONE: “L’hanno detto in TV...deve essere vero...”.

Invece allora come ora i falsi abbondano.

Su Facebook ho incontrato un bel numero di notizie volutamente false e “scandalistiche” ai danni di uomini politici (talvolta “condivise” da alcuni miei giovani e dinamici colleghi).

In questi casi, visitando i link che portavano al dettaglio delle “news” in questione, si potevano leggere non solo contenuti, ma a volte anche titoli completamente diversi da quelli sbattuti in prima pagina sulla HOME di Facebook...

Come si spiega una cosa del genere?

Semplice: chi come me, incredulo, decide di entrare nel sito che ha creato la notizia, attraverso il link disponibile, per vedere cosa c’è scritto nel dettaglio, viene assalito improvvisamente non solo dalla sorpresa della mistificazione, ma anche dalla PUBBLICITA’....ecco come talvolta si procede per fare tintinnare il salvadanaio di alcuni SITI DI INFORMAZIONE ON LINE!

Chi invece non va a vedere cade nel tranello del bluff che suscita emozioni negative.

Così del resto succedeva spesso un tempo, e talvolta succede ancora anche sui giornali più seri (succede regolarmente in quelli più primitivi sul piano della correttezza dell’informazione).

Il titolo e il sottotitolo dicono qualcosa che punta ad agganciare emozionalmente il lettore, il testo dell’articolo dice qualcosa di differente, quando più quando meno.

Il referendum del 4 dicembre si presta a mio parere, più che altri eventi elettorali, al manicheismo viscerale: SI? o NO?

Considerando la valenza emozionale e il significato particolare che hanno avuto nell’infanzia queste due semplici parole, che sono anche espressioni viscerali, si può capire l’elettricità emozionale che si percepisce nella società e soprattutto nella Rete.

Quanti NO o quanti SI abbiamo dovuto mandar giù da bambini?

Ognuno ha la sua mappa e di solito un’eco perdura.

Ho già potuto percepire le valenze emozionali inconsapevoli, innestate nel SI e nel NO dei vari referendum che si sono succeduti, a partire da quello sul divorzio del 74, in cui una parte invitava a votare “SI’, come il giorno delle nozze...”

Avendo personalmente deciso di non rendere pubbliche le mie riflessioni e le mie scelte in merito al voto, per non creare interferenze emozionali nelle relazioni con i miei clienti, ho scelto di confrontarmi con persone che mi conoscono e che stimo, inviando una mail con un mio scritto, piuttosto analitico e, a mio parere, per nulla viscerale.

Mi ha colpito molto una mia collega molto esperta e stimata, una delle più attive e stimolanti su Facebook, che mi ha risposto testualmente (anche come formattazione):

“QUI TUTTI VOTERANNO NO:::NO:::NO:::NO”.

Le mie riflessioni sembravano essere state catartiche...

Quale potrebbe essere l’onda emozionale in una persona in terapia, se venisse a conoscere attraverso la Rete “la dichiarazione elettorale” del proprio terapeuta?

Quale interferenza e complicanza potrebbe recare sulla relazione transferale e perciò sull’andamento del processo terapeutico?

Ho già scritto su questo blog, nell’articolo “Lo psicologo in vetrina”, che non possiamo nasconderci dicendo che i nostri pazienti non sono amici su FB, come in effetti avviene nella maggior parte dei casi: le vie per raggiungerci sono molteplici.

Quindi senza dilungarmi ulteriormente invito i miei colleghi (e anche coloro che hanno un ruolo di facilitazione nelle relazioni di aiuto) a riflettere sull’argomento.

Non vorrei che la manifestazione di sé in Rete, in particolare su FB, avvenisse ingenuamente, soprattutto per alcuni, vista la relativa novità del mezzo.

Dico “non vorrei”, ma in realtà vedo che succede già piuttosto frequentemente, non solo in merito alle proprie simpatie e antipatie politiche, ma anche su aspetti personali che entrano inevitabilmente nell’immaginario e nel flusso emozionale dei pazienti: di questo ho presentato alcuni esempi nell’articolo succitato.

Non voglio dire che sia scorretto esporsi e dichiararsi attraverso i social network: nell’assenza di una normativa deontologica, ognuno può fare come ritiene più opportuno, ma è importante che ciò avvenga consapevolmente e non ingenuamente.

Per noi psicoterapeuti è comunque prassi normale avere momenti di confronto professionale sui temi più significativi del nostro lavoro: quindi chiedo a noi tutti di confrontarci su questa materia, così densa di risvolti inesplorati.

Riguardo ai social network, in particolare a Facebook, credo proprio sia necessaria una formazione che educhi “all’uso del mezzo”.

Da una parte infatti ci sono rischi di interferenze negative nella realtà del nostro lavoro e nell’immagine che ne diamo all’esterno, dall’altra ci sono anche nuove opzioni e nuove sfide evolutive, che possiamo cogliere se ne siamo consapevoli e preparati.