Il dialogo con lo specchio comincia nella meraviglia dell’infanzia: un insieme di proiezioni fisiche e psichiche. Lo stupore iniziale si trasforma solitamente e gradualmente in un gioco d’immagini percepite e immaginate, di elaborazioni mentali e comportamentali.
La mia esperienza personale può essere un esempio.
Verso i sei anni avevo inventato un nome per la mia immagine allo specchio: era Giuseppino un mio amico segreto.
Con lui parlavo di me e di lui, in dialoghi che davano voce a sentimenti e pensieri nascosti.
Avevo una madre e un padre presenti e positivi, tre fratelli minori vivaci e socievoli, ma c’era anche qualcosa che non andava, che non riuscivo a capire e di cui non mi sentivo di parlare.
Giuseppino rappresentava questo mio bisogno: con lui riuscivo a parlare.
Era l’incontro del mio “io consapevole” con “un altro me” nascosto e viscerale, in una dinamica di graduale integrazione.
Il dialogo allo specchio è stato per me formativo: mi ha aiutato a liberare e a solidificare alcuni aspetti della mia personalità.
Tuttavia lo specchio può essere anche deformativo.
Indubbiamente il controllo del nostro aspetto è di grande utilità, ma non bisogna dimenticare che non vediamo “come siamo” ma soltanto “come siamo allo specchio in quel momento”.
Noi allo specchio siamo diversi da noi nel mondo.
L’equivoco e la confusione sono molto diffusi e la mia professione mi mette in contatto con questa distonia e con le sue induzioni a costruzioni immaginative deformative del proprio sé, che in presenza di determinate condizioni strutturali possono concorrere a disequilibri comportamentali (ossessivi, narcisistici, paranoici, psicopatici).
Il setting psicoterapeutico può essere, per il paziente e per l'analista, uno specchio formativo che dialoga anche con le proiezioni “deformative”.
Da ANALISTI ALLO SPECCHIO Ritratti da Armando Rotoletti,
Ed. Moretti &Vitali, Bergamo dicembre 2023