Abstract
La realtà del Villaggio Globale incide profondamente sulla psicoterapia corporea, mettendo in discussione tràditi concetti-base come “natura”, “corpo” o “identità personale”. La relazione indaga su questi cambiamenti, soffermandosi su tre punti:
a) i concetti di “corpo” e “natura” nei padri fondatori della psicoterapia corporea;
b) la messa in discussione di questi concetti attraverso gli sviluppi della tecnologia avanzata e della comunicazione virtuale;
c) il compito della psicoterapia corporea oggi: sensibilizzare al valore di una “natura” esterna e interna, ovvero corporea, non più scontata, ma oggetto di scelte e di stili di vita.
Keywords
psicoterapia corporea, villaggio globale, natura, scelta

 

Corpo e psicoterapia corporea nel Villaggio Globalestrong>

 

Interrogarsi sulle tendenze dominanti del nostro presente e avanzare delle ipotesi sui loro possibili sviluppi nel futuro, comporta quasi inevitabilmente un senso di inquietudine, se non di disagio: nessuno sa dove il viaggio conduce. Sappiamo solo che siamo partiti e che viaggiamo sempre più velocemente, come se girassimo nel grande Maelström, il vortice inarrestabile nell'omonimo racconto di Edgar Allan Poe. Non a caso, uno degli attuali approcci sociologici più perspicaci si chiama proprio Teoria della velocizzazione; il suo assunto di base è che nella modernità “praticamente non esiste nessuna sfera della vita o della società, che non fosse colpita o trasformata dal dettato della velocizzazione” (Rosa, 2012, p. 285).
Questo processo di velocizzazione richiede all'individuo un grande sforzo di integrazione, per mantenere il passo con il proprio tempo e per affrontare quel vago senso di alienazione che facilmente s'insinua nel nostro vissuto del mondo. Con questa affermazione tocchiamo già alcune questioni inerenti il ruolo della psicoterapia nel Villaggio Globale, e in particolare la sua controversa valutazione che di esso si dà muovendo da un'ottica psicoterapeutica.
Vorrei a proposito ricordare un famoso passo del Nuovo Testamento (Marco 8, 36): Che cosa gioverebbe all'uomo se pur guadagnando il mondo intero recasse danno alla propria anima?[1] L'avvertimento dell'evangelista esorta a una valutazione attenta dei processi comunicativi e di conoscenza propri del Villaggio Globale. Bisogna ponderare i possibili vantaggi dello sviluppo tecnologico-informatico (in primo luogo l'ampliamento della libertà individuale di comunicazione e di auto-espressione), e i possibili pericoli o lati oscuri del Villaggio Globale riguardo l'identità del soggetto, la sua percezione di sé e del mondo, il suo vissuto del proprio corpo. Bisogna inoltre tener conto che il Villaggio Globale è solo l'espressione palpabile di una tendenza più profonda ancora. Questa tendenza va verso l'appropriazione, la trasformazione e per così dire “rimasterizzazione” digitale dell'intero mondo naturale, incluso l'uomo. Si tratta dunque di riflettere su quell'ipotetico danno alla propria anima evocato da Lutero: la psicoterapia, con i suoi strumenti sensibili di percezione e di auto-percezione dei processi psichici, è il custode privilegiato di questo lato intimo del soggetto. La psicoterapia, insieme alla filosofia e alla sociologia, è tenuta a interrogarsi, a vigilare e a teorizzare sulle ripercussioni dello sviluppo tecnologico sulla vita personale e sociale, sulla nostra identità in senso ampio.
Questo compito di discernimento si dimostra oggi particolarmente pressante in ambito di psicoterapia corporea. Occupandosi esplicitamente della dimensione somatica del paziente, del suo “essere corpo”, essa – più di altri approcci – si confronta col nostro “essere natura”. Perché “il corpo”, secondo una felice definizione, “è la natura che siamo” (Gernot Böhme). Ed è proprio per questo motivo, per il suo intimo legame con la natura corporea del paziente, che la psicoterapia corporea si trova oggi a dover riflettere nuovamente sui suoi assunti di base, e si trova dunque in una situazione particolarmente difficile, come se le fosse tolta la proverbiale terra sotto i piedi. Perché sembra che gli sviluppi della scienza e della tecnologia applicata, l'insieme delle tendenze dominanti del nostro tempo, si possano riassumere nella tesi: “La natura non esiste”. Oppure, più precisamente: “Ciò che una volta si chiamava 'natura' non esiste più”.
La tesi “La natura non esiste più” fa intuire quanto la realtà del Villaggio Globale incida sulla psicoterapia corporea di oggi. Incide sui suoi traditi assunti teorici di base, ma anche sul suo possibile ruolo nella società del XXI° secolo. Vogliamo in seguito indagare su questi cambiamenti, soffermandoci su tre punti:
  1. la visione di “corpo” e “natura” nei padri fondatori della psicoterapia corporea, e in particolare in Alexander Lowen;
  2. la messa in discussione di questi concetti attraverso gli sviluppi della tecnologia e delle nuove realtà virtuali; e infine
  3. il nuovo compito della psicoterapia corporea: sensibilizzare al valore di una “natura” esterna e interiore non più scontata, ma oggetto di scelta e di stile di vita.
 
 
“Corpo” e “Natura” nei padri fondatori della psicoterapia corporea

 

 

Il termine “padri fondatori” si riferisce qui a personalità come David Boadella, Gerda Boyesen, John Pierrakos, Alexander Lowen e Malcolm Brown, che a loro modo e in maniera molto personale hanno interpretato e elaborato la comune eredità di Wilhelm Reich. Com'è noto, tutti i loro approcci, pur rimanendo in ambito psicoterapeutico in senso stretto, ampliano significativamente il tradizionale setting analitico, includendo in modo esplicito e in molteplici forme l'esperienza corporea del paziente nel lavoro terapeutico. Ma perché, si chiedono in molti, questo ampliamento dei confini di un setting analitico comprovato? A che fine introdurre nell'incontro terapeutico esperienze e tecniche come il contatto diretto (direct touch) tra terapeuta e paziente, tecniche potenzialmente confusive e comunque di non facile gestione?[2]
In ultima analisi, la risposta a queste domande sarebbe da cercare in una visione comune dell'uomo da parte della psicoterapia corporea. Una visione che riguarda il rapporto tra “natura” e “cultura” nell'uomo e più precisamente il significato del corpo umano come crocevia tra queste due dimensioni. Scrive Alexander Lowen, esprimendo in modo esemplare questa visione comune:
“La bioenergetica si propone l'obiettivo di aiutare la gente a riconquistare la sua natura primaria – la condizione di libertà, lo stato di grazia e la qualità della bellezza. Libertà, grazia e bellezza sono attributi naturali in ogni organismo vivente. […] La natura primaria di tutti gli esseri umani è di essere aperti alla vita e all'amore. Nella nostra cultura l'atteggiamento di difesa, la corazza, la diffidenza e la chiusura sono diventati una seconda natura. Sono i mezzi che adottiamo per proteggerci dalle offese; ma quando diventano caratteriologici o strutturati nella personalità, questi atteggiamenti costruiscono un'offesa più grave e una mutilazione maggiore di quelle sofferte in origine” (Lowen, 1975, p. 35).
Come si evince da questa citazione rappresentativa, Lowen presuppone una dinamica conflittuale tra una “natura primaria” dell'uomo e la sua “seconda natura” sociale o caratteriale. Intorno a questa dinamica conflittuale si inscrive una serie di opposti, come conseguimento – piacere; pensiero – sensazione; adulto – bambino. Essi si raggruppano comunque intorno agli antipodi “Io” e “corpo” che stanno alla base della polarità tra “cultura” e “natura” (Lowen, 1970, p. 211).
D'altra parte, queste polarità riposano su un fondamento unitario, come lo stesso termine “bioenergia” suggerisce: “Lavoriamo sulla base dell'ipotesi che nel corpo umano è presente un'energia vitale, comunque essa si manifesti, e cioè in fenomeni psichici o in movimenti somatici. Definiamo questa energia semplicemente 'bioenergia'. I processi psichici, come pure quelli somatici, sono determinati dall'azione della bioenergia e tutti i processi vitali si possono ridurre a sue manifestazioni” (Lowen, 1958, p. 21). Da quest'angolatura, è possibile concettualizzare, come faceva già Wilhelm Reich, il rapporto tra fenomeni psichici e mentali e fenomeni somatici nell'uomo come “identità funzionale tra mente e corpo”. Ed è la fiducia nell'energia vitale di questa base corporeo-organismica a guidare il lavoro terapeutico, inteso come correzione delle inevitabili offese al corpo e alla psiche dell'individuo che il processo della cultura comporta: “La bioenergetica è una tecnica terapeutica che si propone di aiutare l'individuo a tornare ad essere con il proprio corpo e a goderne la vita con quanta pienezza possibile” (Lowen, 1975, p. 35).
In un mio saggio precedente, ho individuato come “eredità romantica” questo slancio della psicoterapia corporea verso una natural wholeness (Malcolm Brown), una “interezza naturale” dell'uomo (Helferich, 2010). E' un tentativo di riconciliazione, di guarigione dalla scissione ancestrale tra l'Io e il suo Leib, il suo organismo vivente. Non possiamo soffermarci qui su quest'aspirazione ultima; notiamo solo che non intendiamo in nessun modo l'aggettivo “romantico” in senso negativo. L'individuo moderno, dotato di una “profondità interiore” (Charles Taylor), è in gran parte figlio del Romanticismo europeo. Ciò che interessa qui è invece il concetto di “natura”. Certamente, tutti i padri fondatori della psicoterapia corporea sono consapevoli del lungo processo evolutivo caratteristico della storia umana, e della necessità del processo di educazione e socializzazione in cui questa storia si ripete. E certamente sono tutti consapevoli del fatto che il corpo umano è un concetto-limite tra “natura” e “cultura”, un elemento di natura culturalizzata così come un elemento di cultura in sembianza naturale. Eppure, in tutti questi approcci, il riferimento alla “natura” sembra stranamente ingenuo. Si inserisce, senza soluzione di continuità, in una tradizione filosofica che sin dai tempi di Aristotele concepisce la natura come quella forma dell'essere che ha le proprie leggi in sé. Per distinguere questo concetto di natura dalla téchne umana, Aristotele cita un esempio icastico del sofista Antifonte: “Se si sotterrasse un letto e la putrefazione prendesse vigore sì da spuntare un germoglio, non si produrrebbe un letto, bensì un legno” (Aristotele, 1967, p. 34 [193a]). “Natura” dunque come qualcosa di originario, a sé stante e antecedente l'uomo culturale, una sfera autonoma dell'essere. In conformità con questo presupposto, anche il corpo umano è pensato come una datità scontata che solo entro certi limiti è disponibile all'agire umano. E troviamo negli scritti dei padri fondatori tanti riferimenti al regno animale e ai bambini, così come la metafora della grande “Madre Natura”, che confermano questa constatazione. Inoltre, questo concetto di natura ha anche una valore normativo in senso di filosofia morale. Esso funge da modello per ciò che è “naturale” e “innaturale” e di conseguenza portatore di valore o meno. Nel concetto di “natura primaria” in Lowen, si potrebbe dimostrare che qui entrambi i significati, quello di natura originaria e quello di natura-modello, confluiscono.

 

 

 

 

Il dileguarsi della natura

 

 

Possiamo dunque riassumere che la psicoterapia corporea classica si basa su un concetto tramandato e per così dire “stabile” di natura, sia riguardo la natura esterna che la natura corporea dell'uomo. In verità però, già da tempo, e in particolare dal secolo scorso, assistiamo a un continuo “spostamento dei confini” (Gernot Böhme) tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale, tra natura e cultura. E' un processo che alla fine rende sempre più difficile distinguere tra le due sfere, a tutti i livelli. Il primo livello, quello globale, riguarda l'impatto dell'uomo sulla natura: i cambiamenti climatici, la riduzione della biodiversità, la sparizione delle foreste, ecc. Sembra che solo i vulcani e i terremoti a seguito dei movimenti della superficie terrestre siano rimasti come tristi testimoni di un agire originario della natura. Il secondo livello ci riporta alla nostra vita quotidiana in cui assistiamo a profondi spostamenti dei confini tra natura e téchne. La direzione è quella di una colonizzazione informatica di tutto ciò che ci circonda, un processo in atto definito già all'inizio degli anni '90 ubiquitous computing, “computerizzazione ubiquitaria”. E' la visione di un mondo circostante reso intelligente da un sistema intrecciato di minicomputer e sensori interattivi (ambient intelligence, “intelligenza dell'ambiente”). Il filosofo Klaus Wiegerling, nella sua Filosofia di mondi intelligenti, lo riassume con le seguenti parole: “L'ubiquitous computing consiste […] in un equipaggiamento informatico che permea l'intera mesosfera, che non solo accompagna la nostra vita, ma cambierà sia la nostra esperienza del mondo che di noi stessi, inclusa l'esperienza del nostro corpo. Da sempre le tecnologie, e in particolare le tecnologie mediatiche, hanno modificato per gli uomini l'esperienza del mondo e di sé. La nuova qualità della visione informatica dell'ubiquitous computing sta nel fatto che il mondo intero, in un certo senso, viene ad essere permeato informaticamente, che ogni oggetto fisico, e non per ultimo il nostro corpo, può diventare un'apparecchiatura informatica, [...] che tutto può diventare un mezzo, un'apparecchiatura di connessione e un proprio spazio informatico” (Wiegerling, 2011, p. 14).

Il punto prospettico dell'ubiquitous computing è un mondo smart, a completa disposizione dell'uomo che a sua volta fa parte di una realtà tecnologicamente incrementata (augmented reality). Tra i vari problemi individuati da Wiegerling indichiamo qui solo il fatto che in questo mondo smart il punto d'intersezione tra uomo e tecnologia si rende tendenzialmente invisibile, in modo che i complessi sistemi informatici potranno via via sostituire l'uomo come soggetto d'azione. Un altro problema è la questione della “resistenza” (Widerständigkeit) del mondo. In un ambiente tecnologicamente incrementato e funzionalmente standardizzato secondo determinate esigenze d'uso, il mondo perde tendenzialmente il suo carattere di resistenza o opposizionalità rispetto all'uomo. Tali esperienze di resistenza delle cose e del mondo in generale, però, sono indispensabili per la costituzione della nostra identità. Per darne un esempio, basta rendersi conto del fatto che i nostri figli e nipoti non potranno mai più fare l'esperienza finora ritenuta archetipica di Hänsel e Gretel di perdersi nel bosco e di riuscire infine a trovare una via d'uscita: in ogni momento e ovunque si trovino saranno localizzabili.

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E sta proprio lì l'obiettivo del terzo grande spostamento dei confini, nel superamento della resistenza della natura in quanto vita, organismo, corpo animale e corpo umano. Ma non muori, perché sei malato; muori perché vivi, scrive Montaigne in uno dei suoi Saggi, esprimendo l'esperienza della condizione umana forse più dura, ma sicuramente anche più evidente del nostro retaggio culturale (Montaigne, 1992, p. 1462). Oggi, invece, la tecnologia medica ha messo in discussione le condizioni date di tutto ciò che si considerava naturale nell'uomo. In quanto medicina riproduttiva, è in grado di intervenire artificialmente sulla nostra disposizione genetica, e ricordiamo bene che sono oggi solo i limiti legali a vincolare la portata delle sue possibilità concrete. In quanto medicina di trapianto, è in grado di cambiare e di sostituire liberamente organi e parti del proprio organismo, sulla base di un “cartesianesimo praticato” (Gernot Böhme) di fronte all'homme machine. Il racconto del filosofo francese Jean-Luc Nancy, L'intruso, è la descrizione commovente di una tale esperienza: Nancy, soffrendo di progressiva insufficienza cardiaca, aveva accettato di vivere con il cuore di un'altra persona, probabilmente di una donna notevolmente più giovane di lui (Nancy, 2000). E in quanto chirurgia estetica e medicina farmacologica, è in grado di modificare sia l'aspetto esteriore che quello interiore: attraverso la diffusa pratica psicofarmacologica del neuro-enhancement, lo stato d'animo di una persona può subire un miglioramento psico-fisico secondo le esigenze di rendimento.
Tutte queste tendenze o realtà della tecnologia medica si possono riassumere nei concetti del Biofact e del Cyborg. Il Cyborg è finora solo una visione, di derivazione astronautica. Intende un essere misto tra organismo vivente e elementi cibernetici, per migliorare le possibilità di sopravvivenza nello spazio (per esempio rispetto alla percezione di radiazioni pericolose attraverso sensori impiantati). Nel caso dei Biofact, invece, si tratta di oggetti artificiali creati dall'uomo su base organica-biologica. Si pensi per esempio al cibo su base di piante geneticamente modificate, o al caso della pecora clonata Dolly, il Biofact forse più famoso. Essendo impossibile in questi casi di scindere tra ciò che è natura o meno, è appropriato parlare di “corporeità secondaria” (Klaus Wiegerling). Il termine “corporeità secondaria”, però, fa di per sé emergere il dubbio se e in che senso si possa ancora parlare di “natura”: “Se la modernità è stata da sempre connotata dall'intento di trasformare ciò che è dato in ciò che è costruito, tale progetto si è esteso al corpo dell'uomo, in quanto Natura che noi siamo, solo nel XX° secolo. Sui vari fronti l'uomo ha iniziato la sua trasformazione in un artefatto. Ciò pone in questione che cosa dell'uomo dev'essere ritenuto come dato, e perciò come Natura. Dunque, all'insegna di questa sfida, si pone per la prima volta la domanda se e in che senso sia essenziale per l'uomo essere Natura” (Böhme, 2003, p. 152).
Questi interrogativi preoccupanti suonano come una minaccia alla psicoterapia corporea, al suo intento di riportare il paziente all'identificazione col vissuto del suo corpo concreto, come scrive Alexander Lowen in un altro passo rappresentativo: “La bioenergetica si basa sulla semplice proposizione che ogni persona è il proprio corpo. Nessuno è nulla al di là del corpo vivente in cui ha la propria esistenza e attraverso il quale si esprime e si pone in relazione con il mondo che lo circonda” (Lowen, 1975, p. 44).
Ma oltre alla natura che ci circonda e che siamo, gli sviluppi della tecnologia informatica hanno anche trasformato l'intero campo della comunicazione umana. Anche qui, il corpo fisico come presenza concreta si sta dileguando, se non è già del tutto sparito. Nell'ambito della comunicazione nel Villaggio Globale sembra difficile parlare di natura. Ciò che è naturale, infatti, è stato finora sempre collocato nello spazio e nel tempo, mentre il Villaggio Globale rappresenta il riuscito superamento, se non annullamento, di questi limiti.
La metafora del Global Village è stata creata già negli anni '60 dal mass-mediologo canadese Marshall McLuhan (1911-1980), che lo descrive in termini suggestivi:
“Il nostro è un mondo nuovo di zecca fatto di subitaneità. Il 'tempo' è cessato, lo 'spazio' è sparito. Ora noi viviamo in un villaggio globale […], un accadimento [happening] simultaneo. […] Le informazioni ci piovono addosso istantaneamente e continuamente. Un'informazione appena acquisita è rapidissimamente sostituita da un'informazione più recente. […] La nuova interdipendenza elettronica ricrea il mondo a immagine di un villaggio globale” (McLuhan & Fiore, 1967, p. 63 e 67).[3]
Se questa visione si basa ancora sulla sola presenza dei media tradizionali come la stampa e la televisione, essa si è senz'altro pienamente realizzata nel world wide web che esiste dal 1991. In fondo, Internet non è un vero e proprio medium nel senso classico. Come indica il suo nome originario, Interconnected Networks, si tratta di un “medium ibrido” in quanto fornisce un'infrastruttura generale che serve da accesso alle più varie forme di informazione visiva, digitale e uditiva. Se già questa simultaneità delle modalità mediatiche supera il concetto tradizionale di media, il vero aspetto rivoluzionario dell'Internet sta nel suo carattere “democratico”, ovvero il suo potenziale interattivo (one-to many; one-to-one; many-to-many; many-to-one). In questo senso, la presenza di Internet ha aperto un enorme spazio di libertà di comunicazione al di là di ogni confine di tempo e di spazio, “in tempo reale”. Ha creato nuovi spazi come i Social Networks, i Chatroom, nonché mondi virtuali come Second Life che rappresentano nuove forme di incontro e di espressione, sia a livello individuale che collettivo. Ma in che senso tutto ciò riguarda l'argomento del nostro discorso?
Sintetizzando al massimo, possiamo individuare forse due campi centrali che interessano sia la psicoterapia in generale che la psicoterapia corporea in particolare: la questione della realtà e la questione dell'identità personale. Forse il loro denominatore comune sta proprio in una tendenza verso l'allentamento o ampliamento di tali concetti.
   Guardiamo prima la questione della “realtà”. Che cos'è una “realtà virtuale”? Ricordiamo che il termine latino virtus (“potenza”, “forza”) e poi il termine latino-medioevale virtuale si riferisce a qualcosa il cui stato ontologico è meno precisamente definibile rispetto al termine realis. Mentre realis denomina una realtà concreta, materiale, il virtuale ha una qualità cangiante, riferita a qualcosa che “potenzialmente” o “possibilmente” potrebbe essere o accadere.
Questa qualità cangiante è resa possibile dal fatto che la realtà virtuale di cui qui parliamo esiste all'interno di uno spazio mediatico, o all'interno di una realtà comunque “arricchita” dai media. Ma ricordiamo che i media, in forte contrasto con il loro nome ingenuo di medium e cioè di semplice mediatori, hanno delle qualità che vanno ben oltre. Non hanno solo la forza di selezionare e di trasformare la realtà secondo le loro specifiche modalità di presentazione (per esempio in forma di foto, o di racconto per bambini), ma hanno anche la forza di costruire la realtà (definendo ciò che è “importante” e dunque “veramente reale”, o meno) e in ultima analisi hanno la forza di tendenzialmente sostituirla. Per esempio esiste per tutti noi il pericolo di identificare istintivamente il resoconto degli avvenimenti politici offerto dalla televisione con “la politica” in generale. Questa oscura confusione tra il medium e il contenuto mediato, tra mondo e medium è espressa già dal sopracitato Marshall McLuhan nella sua formula paradossale The medium is the message - “Il medium stesso è il messaggio”. Citiamo qui un passo riassuntivo di Klaus Wiegerling che descrive questa sovrapposizione intricata:
“Più complessa una società si presenta, più importante si fa la mediazione mediale. Nella nostra società, essere e apparenza sono talmente mescolati tra di loro, che è quasi impossibile parlare di una realtà indipendente dalla coscienza, distinta nettamente dalla simulazione e dalla finzione. La nostra realtà consiste in una miscela tra elementi reali in senso più stretto ed elementi simulativi e finzionali, creati con mezzi tecnici. Essa è diventata per così dire virtuale, dunque meno legata a un mondo esterno fondato fisicamente e indipendente dalla coscienza, che non legata a un'esperienza interiore, che include produzioni mediali” (Wiegerling, 2008, p. 230).
Il riferimento all'esperienza interiore ci offre lo spunto per passare alla questione dell'identità personale. Ormai gli esperti sono convinti che la frequentazione assidua della Rete favorisca tra gli utenti una tendenza verso la cosiddetta “personalità multipla”. Cerchiamo di capire in che senso.
Nel nostro contesto, questa tendenza si esprime soprattutto nella relazione tra “modalità on-line” e “modalità off-line” nella vita dell'utente. Constatiamo en passant che il semplice fatto di distinguere tra “modalità on-line” e “modalità off-line” dell'esistenza implica un enorme cambiamento di prospettiva sulla nostra stessa vita. Ciò che finora abbiamo designato semplicemente come “vita” - la nostra vita unica e quotidiana – coincide ora con la “modalità off-line” dell'esistenza, perché sempre confrontata e riferita alla “modalità on-line”. Più specificatamente, la problematica della personalità multipla è legata alla modalità on-line, in relazione a fattori come la quantità di tempo medio giornaliero passato on-line, nonché l'età e la maturità personale dell'utente.
Ma più in generale possiamo constatare quotidianamente come la nostra vita si svolga simultaneamente su due livelli paralleli, quello della vita reale (real life) e quello virtuale. Si parla perciò di un nuovo pattern sociale chiamato “individualismo interconnesso” (networked individualism), del fatto che sempre più possiamo scegliere e scegliamo i partner della nostra comunicazione liberamente e anche al di fuori dei legami concreti della nostra vita, della Lebenswelt (Metzner-Szigeth, 2008). Nel fenomeno dell'individualismo interconnesso convergono del resto forti tendenze di cambiamento sociologico col rapidissimo sviluppo tecnologico-informatico; tra disponibilità e richiesta sociale (demand pull) e l'offerta di nuove e sofisticate possibilità tecnologiche di comunicazione (tecnology push) sembra a volte difficile distinguere quale elemento spinga in avanti l'altro. E' facile prevedere che nel futuro la sfera della vita on-line avrà sempre più peso rispetto a quella della vita reale. Tendenzialmente, la “vera vita” sarà “altrove”, nel grande spazio di una presenza simultanea comune. E' lo spazio di una comunicazione “libera”, anche nel senso di tendenzialmente de-localizzata, perché il corpo non ha parte in questa comunicazione. Il corpo è il grande assente.
Com'è noto, le varie realtà di Internet e soprattutto i chatroom e i sofisticati giochi virtuali come Second Life e World of Warcraft danno spazio a molteplici forme di costruzione e presentazione del proprio Sé. Abbiamo già notato che queste forme interattive aprono ampi spazi di creatività, di libertà e di gioco. Ma complessivamente, la realtà di Internet funge per molti versi anche da potente scenario di una presentazione prospettica della propria immagine, una forma di “virtualizzazione” del proprio Sé. In assenza di un Altro reale, l'utente ha la possibilità di presentarsi e di muoversi in molteplici forme, di cui nessuna forma è vincolante e da cui in ogni momento può prendere le distanze. In questo senso, la rete è stata chiamata la sfera del “come-sé”, una sfera in cui “ogni riferimento a cose e avvenimenti e persone reali è puramente casuale”.
Non possiamo qui esporre più dettagliatamente la questione dell'identità multipla, un fenomeno che senz'altro diventerà più pervasivo in futuro. E non possiamo neanche soffermarci su altri aspetti del Villaggio Globale inerenti al nostro discorso. Pensiamo soprattutto alla questione della percezione del mondo nonché ai problemi dell'integrazione psichica dell'esperienza. Per quanto riguarda la percezione, sarebbe da approfondire la crescente importanza delle immagini e della dimensione visiva in generale, una dimensione comunque tendenzialmente staccata dal corpo e dai suoi concreti posizionamenti e sensazioni. Non a caso, la teoria dell'immagine suscita oggi un grande interesse da parte della filosofia e delle scienze della comunicazione, e nel corso dell'ultimo decennio si è addirittura costituita una nuova disciplina chiamata Bildwissenschaft, “Scienza dell'immagine” (Sachs-Hombach, 2009).
Riguardo l'integrazione psichica dell'esperienza, rimandiamo alla sopracitata “Teoria della velocizzazione”. Essa mette a fuoco la crescente difficoltà di concepire la vita personale oggi come “unità organica”, fondata su un progetto complessivo di vita attraverso il tempo. Il vissuto di una - per quanto temporanea - “risonanza” col mondo (Hartmut Rosa) si basa comunque su una riuscita integrazione psichica della sua esperienza. Questa integrazione è e sarà per gli abitanti del Villaggio Globale un compito particolarmente arduo. Come scrive Klaus Wiegerling: “La costruzione dell'identità avverrà in futuro in condizioni più difficili” (Wiegerling, 2008, p. 250).

 

 

 

 

 

La natura davanti a noi

 

Torniamo indietro per tirare le fila del nostro discorso. Partendo dal concetto di “corpo” e “natura” nei padri fondatori della psicoterapia corporea, abbiamo evidenziato i limiti di questo discorso nelle condizioni del presente, a due livelli. Primo, riguardo ai cambiamenti della natura esterna e del corpo umano, e cioè la progressiva tecnologizzazione di queste sfere che tendenzialmente perverte il rapporto con la natura. Secondo, riguardo il mondo del Villaggio Globale, una realtà completamente artificiale che comporta numerosi problemi per la formazione dell'identità personale. Passando in rassegna alcune parole-chiave del nostro discorso come ubiquitous computing, Biofact, realtà virtuale, modalità on-line e off-line dell'esistenza, identità prospettica, si fa palpabile l'estrema complessità del mondo in cui viviamo. E' come se vari strati di significati di “natura”, “realtà” e “identità” convivessero in una specie di compresenza caleidoscopica, partecipe a processi in rapida evoluzione. Come orientarsi, come comportarsi, come vivere in una tale situazione?
Per quanto riguarda i concetti di “corpo” e di “natura”, sembra molto utile una distinzione del filosofo Gernot Böhme. Böhme presentò questa distinzione in un suo discorso al Festival della Filosofia a Modena, nel settembre del 2011, che aveva come argomento, appunto, la Natura. In una civilizzazione tecnica come la nostra, secondo Böhme, il nostro “essere corpo”, “essere natura” e “far parte di una natura circostante” non è più in nessun modo scontato; è come se questa “vecchia natura” fosse già da tempo “alle nostre spalle”. Abbiamo però anche una “natura davanti a noi”, e più precisamente: “La natura sta davanti a noi come compito. […] Natura non è più semplicemente ciò che è dato, ma ciò che è voluto” (Böhme, 2011, p. 13). Ciò significa che dobbiamo quotidianamente ponderare, decidere, concretizzare, se e in che modo vogliamo relazionarci alla natura esterna e alla natura che siamo, quale significato vogliamo conferirle. Queste scelte si esprimono come atteggiamento pragmatico e confluiscono in uno stile di vita.
Per darne un esempio concreto, ricordiamo che a memoria d'uomo, sebbene sempre inserito in un contesto culturale, il parto dei figli era considerato e praticato con grande naturalezza. Nel corso del Novecento, diventato appannaggio del nuovo sapere medico-tecnologico, il luogo della nascita è stato spostato dalle case alla clinica, e la figura dell'ostetrica, rappresentante del sapere tramandato, è stata marginalizzata. Negli ultimi decenni invece il parto è diventato oggetto di una scelta consapevole, che tende a limitare nuovamente la sua medicalizzazione: oggi possiamo e dobbiamo scegliere che tipo di parto praticare, in che modo e fino a che punte farne nuovamente un “parto naturale”.
Un altro esempio concreto sono gli stessi esercizi bioenergetici, ideati dai coniugi Leslie e Alexander Lowen negli anni '50 e '60 del secolo scorso. Praticando questi esercizi, scegliamo di esplorare noi stessi in quanto esseri corporei (Leibwesen). Affermiamo, apprezziamo e accettiamo di essere un organismo, una parte della natura che ci circonda e che noi stessi siamo. E praticando questi esercizi con una certa regolarità, integrandoli nella nostra quotidianità, trasformiamo questa nostra scelta in uno stile di vita; l'immagine dell'anziano Alexander Lowen che quotidianamente prosegue con i suoi esercizi ne è un esempio parlante.
La psicoterapia nel Villaggio Globale è obbligata a tener conto dell'estrema complessità di questo tipo di realtà. Ciò riguarda soprattutto l'identità dei giovani, dei cosiddetti digital natives. Per loro, la presenza del computer come parte integrante del mondo è altrettanto scontata quanto lo era, per la generazione precedente dei digital immigrants, la realtà dell'automobile e della televisione. D'altra parte, è proprio questa complessità tendenzialmente destabilizzante a confermare l'importanza della psicoterapia. Nell'incontro esistenziale con un Altro concreto, il paziente può e deve sperimentare la dignità e il valore inestimabile della propria insostituibile personalità, e della insostituibile personalità dell'Altro e di tutti gli altri.
La psicoterapia corporea da parte sua si trova davanti a nuove sfide. Essa ha già compiuto una grande trasformazione rispetto agli inizi, definendosi oggi come psicoterapia somatico-relazionale. Riuscirà a elaborare e integrare concettualmente i cambiamenti in atto concernenti il corpo e la natura in generale in un mondo tecnologizzato? Risulterà “antiquata” o “inattuale”di fronte a questo mondo smart?
Forse, l'”umanesimo critico”, la specifica e preziosa “inattualità” della psicoterapia corporea sta proprio nella consapevolezza critica del nostro “essere natura” (Schneider, 2012). Sembra perciò che a livello culturale, l'importanza dell'approccio corporeo sia oggi ancora più palpabile. I filosofi del contemporaneo parlano di “crescente perdita di un'esperienza unitaria della vita”, di “alienazione dal proprio corpo” (Klaus Wiegerling), e in generale di “perdita della presa di coscienza di un coerente moto del sé o della vita attraverso il tempo” (Hartmut Rosa). Sono fenomeni che del resto l'anziano Alexander Lowen, nel suo studio sul Narcisismo del 1983, accusava già perspicacemente come crescente “irrealtà del tempo presente”.
Si tratta qui di una forte valutazione negativa. Fa invece parte della complessità di cui parlavamo, che la realtà del Villaggio Globale – forse come il fenomeno della tecnica in generale – apre anche considerevoli spazi di libertà. All'interno di questa realtà, comunque, possiamo individuare due grandi compiti della psicoterapia corporea oggi: il compito curativo di riportare l'esperienza del paziente al proprio corpo e di radicarlo in esso, e il compito pedagogico di sensibilizzarlo al valore di una “natura” esterna e personale-corporea non più scontata, ma oggetto di scelte e di stili di vita.
   Bibliografia

 

Aristotele (1967). La fisica. Trad. it. a cura di G. Laurenza. Napoli: Loffredo.
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[1] Preferiamo qui tradurre in italiano dalla versione “moderna” di Lutero, basata sul testo greco, Was hülfe es dem Menschen, wenn er die ganze Welt gewönne, und nähme an seiner Seele Schaden?, che ci sembra più congrua rispetto a quella della Bibbia Emmaus: Che cosa giova all'uomo guadagnare il mondo intero se perde la propria vita?
[2] Per le questioni del setting si vedano i contributi di Angela Klopstech e di Gabriella Buti Zaccagnini in Cinotti & Zaccagnini (2010), nonché il mio saggio in Helferich (2004).
[3] Per un errore di composizione, il titolo originale suona The Medium is the Massage anziché the Message. McLuhan trovò questo errore illuminante e rinunciò perciò alla correzione.