L’umanità rischia di ritrovarsi imprigionata nella rete delle sue costruzioni virtuali.
Il narcisismo dominante privilegia la privacy del singolo rispetto alla sua sicurezza e a quella della comunità?
La sicurezza dei dati “sensibili” vale più della sicurezza della vita umana?
Barricato nella cabina di pilotaggio, il 24 marzo del 2015, Andreas Lubitz impostò il pilota automatico su discesa rapida, poi per tre, quattro volte di seguito modificò i parametri per aumentare la folle picchiata contro la montagna.
Il copilota dell'Airbus A-320 di Germanwings si uccise facendo strage dei suoi passeggeri. 
Un'azione deliberata, insistita, nonostante i disperati tentativi del comandante di aprire o sfondare la porta della cabina, costata 150 morti
- La procura di Dusseldorf - scriveva A Tarquini su La Repubblica del 28 marzo - dichiara di aver trovato a casa di Lubitz “tante prove di una malattia acuta, e continue terapie tuttora in corso…soffriva di turbe e mali psichici di lunga durata” …c’era un certificato di malattia per assenza irrinunciabile dal lavoro dal 16 al 29 marzo… Andreas non avrebbe dovuto volare quel martedì maledetto…
“Non abbiamo ricevuto alcun certificato di malattia da parte sua” scrive Lufthansa in un tweet. Terribile ma possibile. Anzi legale: l’obbligo di informare il datore di lavoro di una malattia, anche per chi svolge lavori che comportano responsabilità per la vita altrui, qui ricade solo sul paziente, non sul suo medico…
La scuola di volo negli USA, dove tutti i piloti della compagnia di bandiera tedesca imparano a volare…lo aveva dichiarato non idoneo tout court…
”Avrebbe dovuto lui di persona venire da noi, dai suoi superiori, e liberare i suoi medici curanti dall’obbligo del silenzio”. -
 
Vite umane sacrificate alla Privacy?
E siamo nella grande Germania, non nella peggiore Italietta!
Ma c’è di più.
Il buon senso ci porterebbe a pensare che un malato di psicosi non possa mai diventare un pilota di aerei di linea.
Ma il buon senso è morto…
Pochi anni fa, su un volo marocchino, il pilota ha portato il suo aereo a schiantarsi più o meno come ha fatto Lubitz.
Il narcisismo occidentale ha forse sottovalutato il pericolo confinandolo a perimetri di altre culture?
“L’idoneità al volo viene certificata ogni anno dai medici dell’autorità federale dell’aviazione civile” così un portavoce della Lufthansa, come riferisce lo stesso giornalista in un articolo del 29 marzo, in cui si legge che una ex fidanzata di Lubitz ricorda che egli le aveva parlato più volte di voler fare un gesto spettacolare: “Un giorno farò qualcosa che cambierà la vita di noi gente dell’aria e tutti allora conosceranno il mio nome, tutti mi ricorderanno.”
Un malato grave sembra essere stato lasciato solo con la sua follia distruttiva e ha potuto compiere una strage.
E’ stata individuata pienamente la gravità e la pericolosità della sua malattia?
E’ stata curata?
Quanto è durata la psicoterapia giovanile prima della licenza, che tipo di lavoro è stato possibile effettuare e che esito ha avuto?
Dopo di che ci hanno pensato solo gli psichiatri?
La psichiatria è in grado di fare da sola, di fronte a casi di questo tipo, cioè casi in cui c’è un lavoro di grande responsabilità in relazione alla sicurezza sociale?
Non è forse indispensabile il concorso della psicologia e della psicoterapia?
Sembra che la psicologia e la psicoterapia siano ancora sorelle minori delle scienze planetarie, che non venga loro assegnato il ruolo di riconoscere e gestire il pericolo della follia distruttiva e che resti loro il compito di occuparsi più che altro di analizzarla a posteriori.
Un ambito in cui esse finiscono spesso per scivolare nella filosofia.
La nostra cultura, accecata dal proprio narcisismo, di fronte al “mistero” della malattia mentale, sembra cercare di salvare se stessa con i colpi di coda delle astrazioni.
Perfino un insigne psicanalista, come Massimo Recalcati, titola (o lascia titolare) un suo articolo su la Rebubblica del 28 marzo: “Il Narciso kamikaze”. (leggi l'articolo in http://machiave.blogspot.it/2015/03/recalcati-sul-suicidio-del-pilota.html .
Nell’articolo non si legge nulla della tragedia della malattia psicotica abbandonata a se stessa, nel cuore dell’Europa, nel cuore della suprema Germania, nel cuore di una professione tra quelle di più alta responsabilità per la vita altrui.
“Egli si uccide decidendo di uccidere altre vite perché ritiene che tutto il mondo si esaurisca nel proprio Ego… La sua depressione rivela qui il suo fondamento narcisistico”.
Quel “decidendo” e quel “ritiene” ci mostrano quanto siamo lontani dalla comprensione, o quanto meno dalla capacità di aiutare i lettori a comprendere: non “ritiene” e non “decide” niente, è incapace di ritenere e decidere, è precipitato nella confusione psicosomatica della follia, dove le emozioni più viscerali e distruttive tengono in pugno la mente, che non funziona più su un piano di realtà.
E così gli addetti ai lavori più blasonati, che dovrebbero aiutare la nostra cultura ad aprire gli occhi sulla “pervadenza” della malattia mentale e sul bisogno di riconoscerla, prevenirla e soccorrerla, non fanno questo lavoro e si uniscono al coro dominante, che sa solo cantare parole che possono servire poco o niente.
Il dio Narciso della nostra cultura, non sa vedere in sé il demone della malattia narcisistica, e quando ce l’ha davanti agli occhi la rifiuta.
E Lubitz funge da capro espiatorio: si ignora la vittima solo perché ha la mano insanguinata del carnefice.
Lasceremo alla spiritualità il compito di riparare il dolo, e di metterci il cuore più in pace, con la preghiera, il perdono e la speranza di un purgatorio?
O con la fede in una reincarnazione evolutiva della sua vita, e di quelle massacrate da quel volo, e anche di tutte quelle dei morti che verranno per mano di nuovi malati?
Malati di malattie dette mentali, più propriamente psicosomatiche, insediate in bambini abbandonati e divenute troppo grandi nella solitudine dell’analfabetismo emozionale.
Quando mai insegneremo agli insegnanti, ai genitori, ai medici, e anche a tutti gli psicologi, a riconoscere le emozioni nel proprio corpo e in quello degli altri?
Bisognerebbe imparare il linguaggio del corpo a cominciare dalla scuola elementare.
Dalla lettura del linguaggio del corpo si possono comprendere gli altri, è possibile individuarne i problemi potenzialmente gravi e intervenire per tempo.
Non bisogna essere geni e non c’è da rassegnarsi alla “determinanza” dei geni.
Non siamo purtroppo educati a questo tipo di capacità e in più siamo distratti da fiumi di parole, immagini, pensieri, sia nel mondo reale che in quello virtuale.
Non guardiamo più il corpo materiale come dovremmo: invece di affinarci a comprenderlo sempre meglio, la nostra cultura, troppo attenta alla forma estetico-narcisistica, finisce spesso per farci perdere anche l’abitudine a sentire e guardare il corpo per capirne il linguaggio emozionale, rischiando sempre più di perdere il senso e il buon senso, impigliati come siamo nella rete di immagini ed astrazioni.
E’ nella direzione della lettura e dell’interpretazione del linguaggio del corpo che serve lavorare, come hanno insegnato maestri come W. Reich e A. Lowen.
Alcuni per fortuna già lo fanno, nell’ambito dell’Analisi bioebergetica e anche in altri pur limitati ambiti.
E non da pochi anni.
 
EPITAFFIO PER UN PILOTA DISGRAZIATO
 
Fin da bambino sogni di volare.
E poi ci metti tutta la tua forza
e diventi pilota.
Travalichi le Alpi della Francia in aliante
e voli con gli aerei molte volte.
 
E poi stai male.
Ti dicono che non potresti più volare,
con ripetuti documenti medici.
Non è vero,
non può essere vero.
 
Precipita il tuo sogno.
Precipiti il tuo aereo.

 

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