Dai primi di marzo, in corrispondenza con il lockdown, ho iniziato un lavoro regolare on line con una ventina di miei clienti che hanno scelto di continuare la terapia in questa modalità, con colloqui di consulenza aziendale e con alcune persone come volontariato nell’ambito dell’iniziativa #Noicisiamo del Progetto di Sostegno Psicologico – SIAB - FIAP - Ministero della Salute.

Non è stata per me un’esperienza del tutto nuova in quanto avevo già da anni fatto colloqui da remoto nei casi in cui non era possibile un lavoro in presenza.

Le esperienze delle sedute on line mi hanno portato ad alcune riflessioni che intendo qui esporre.

 

IL SETTING ON LINE

-Quello del setting, cioè della postazione è stato un problema rilevante, fondamentalmente un problema di privacy rispetto ai conviventi e ai vicini: le percezioni passano in effetti attraverso questo filtro emozionale.

Si tratta di un filtro attraverso il quale è costretto il colloquio, che può indurre stati d’animo congiunturali e atteggiamenti che possono deviare il lavoro.

Ad esempio la presenza in una stanza adiacente di un consorte con cui si è avuta una discussione aggressiva può indurre comportamenti di compensazione in direzioni diverse, a seconda del ruolo avuto nello scontro precedente e del carattere personale, e ciò non solo per dimostrare qualcosa all’altro che potrebbe sentire, ma in primo luogo a se stessi.

Insomma quello spazio protetto che è il setting dello studio è perduto.

Quindi a mio parere è fondamentale che siano sempre esplicitate ed eventualmente “discusse” le condizioni del setting.

Una soluzione alternativa che ho proposto, quando necessaria, e da alcuni accettata, è stata quella di usare l’auto come spazio più protetto: essendo le città in quel momento abbastanza deserte, l’esposizione alla vista altrui non è stata sentita come un problema.

-Dal punto di vista della “liceità” ho sempre fornito un attestato di appuntamento, non strettamente necessario, ma comunque tranquillizzante.

      “Attesto che  X  avrà con me  un appuntamento Il  giorno  x alle ore  x   per un colloquio di psicoterapia che si svolgerà on line e in auto per motivi di privacy”.

Alcuni hanno scelto di fare colloqui all’aperto con whatsapp videochat o telefonata audio: anche a questi ho fornito un attestato “per un colloquio di psicoterapia di 60 minuti che si svolgerà on line e per motivi di privacy in spazi all’aperto.”

GLI STRUMENTI DI COMUNICAZIONE DA REMOTO

 Una minoranza (il 25 per cento) dei miei clienti ha preferito usare come mezzo per comunicare da remoto il colloquio telefonico, ritenendolo “più intimo” o “più facile da gestire” (ad esempio  in caso di colloqui camminando all’aperto).

Un altro 25 per cento ha optato per Skype o Zoom, mentre il 50 per cento ha preferito usare la videochat di Whatsapp con lo smartphone, ritenuto strumento più agile.

Ho riscontrato una significativa differenza tra l’uso dello smartphone e quello del tablet o del pc:

 -lo smartphone può sembrare lo strumento più agile in quanto consente il movimento, ad esempio il camminare, ma comporta una postura dedicata alla “selfie-inquadratura” e con il piccolo monitor il corpo ( la parte alta del corpo quando l’interlocutore é seduto) appare in formato così ridotto che non è agevole coglierne i segnali.

-Il monitor più grande consente una più facile lettura dei movimenti corporei del volto e delle spalle (chiedo ai miei clienti di posizionarsi in modo da ottenere un’inquadratura che comprenda le spalle).

Ho notato che in questo modo non vedo direttamente i movimenti della parte bassa del corpo, ma il primo piano del volto, delle braccia e delle spalle consegna un insieme di messaggi molto evidenti e significativi.

In particolare nei primi piani del volto si possono cogliere sottili espressioni della bocca e degli occhi.

Lavoro quindi molto in questo senso, mettendo in relazione i contenuti verbali e le espressioni della parte alta del corpo, valorizzando le espressioni emozionali inconsce.

 IL CORPO NEL COLLOQUIO ON LINE

 Durante i colloqui on line, nei casi in cui era attiva la funzione video, ho potuto notare che si riscontrano alcune evidenze.

Per quanto riguarda gli occhi s’incontrano alcune peculiarità.

Sul piano della relazione va evidenziato che non ci si può guardare negli occhi: vediamo l’altro che guarda il suo monitor con gli occhi che non guardano direttamente verso i nostri occhi.

L’unico modo per ottenere di potere vedere direttamente il suo sguardo è invitarlo a guardare la sua telecamera, ottenendo tuttavia di poter cogliere uno “sguardo perduto nel nulla” in quanto non starà vedendo noi ma solo un pallino verde.

Questa dissonanza risulta più forte quanto più è ampio il monitor, quindi è meno disturbante se si usa uno smartphone.

Credo che bisogna esplicitarla e tenerne conto perché può rifrangere un’impressione, anche inconscia, di scarso contatto, con tutte le possibili implicazioni proiettivo-emozionali: ho rilevato spesso un’inclinazione a un particolare “peregrinare” degli occhi, come se andassero in giro da soli a cercar qualcosa, non avendo il contatto diretto con gli occhi del terapeuta.

Sul piano energetico gli occhi sono impegnati in un costante lavoro di convergenza, tanto più severo quanto più piccolo è il monitor, che non va sottovalutato dal punto di vista dell’impegno psicofisico, anche se certamente è una situazione consueta per molti che lavorano quotidianamente col pc.

In questo caso però si ha l’aggravante di doverla sostenere continuativamente per circa un’ora in una situazione d’intensa comunicazione col terapeuta, che solitamente non richiede un impegno del genere, oltretutto dopo aver magari sostenuto varie ore di smartworking al computer.

Nella maggior parte dei casi, quindi, ho scelto di esplicitare la cosa e ho proposto esercizi di compensazione: una rotazione oculare, un escursus tra il fissare alternativamente il proprio dito tenuto vicino al naso e un punto lontano nella stanza, una “passeggiata” libera degli occhi che si possano posare ora qua ora là, dove vogliono.

Il tutto naturalmente con attenzione alle sensazioni e all’apertura del respiro.

Il lavoro corporeo da remoto è più in generale un problema che va affrontato con l’attenzione che è giusto dedicare alle esperienze nuove.

In qualche caso l’ho proposto, ma per ora ha avuto uno spazio limitato.

Probabilmente questo è anche dovuto alla straordinarietà e all’auspicata provvisorietà della situazione, per la quale in questa congiuntura c’è stato un gran bisogno di espressione verbale per elaborare la situazione inedita e alleviarne l’ansia. 

Credo comunque che il lavoro bioenergetico da remoto necessiterà del confronto e dell’elaborazione di molteplici esperienze

Si tratta in ogni caso di esperienze complesse e allo stesso tempo “ridotte”: si perdono la presenza corporea dell’altro e il contatto, che sono il pane quotidiano della bioenergetica.

Il monitor può offrirne solo una parte attraverso l’immagine, ma non riesce nemmeno a restituire un’immagine reale del corpo.

Ci fosse uno schermo “altezza uomo”, le cose andrebbero forse meglio: il piccolo schermo, anche se si tratta di un monitor di una grandezza importante, produce un effetto tele-visione che sottolinea la distanza realmente esistente e induce “un senso di parziale  lontananza”, l’opposto della presenza e del ”contatto” che si stabilisce nel lavoro bioenergetico in presenza.

Questa sensazione da tele-visione si produce in ogni caso nel colloquio on line e introduce una specie di filtro da immagine video, che siamo soliti incontrare quando guardiamo la televisione o il computer in streaming.

Sono rimasto colpito da quanto “l’immagine video” dei miei clienti si discosti dalla loro realtà fisica.

L’effetto tele-visione con il suo appiattimento “bidimensionale” può produrre anche un effetto “star”, frutto dell’interazione di movenze narcisistiche inconsapevoli e dell’eventuale proiezione dell’osservatore, con venature estetizzanti che possono inquinare le rilevanze espressive.

 L’appiattimento “bidimensionale” può produrre anche equivoci nella comunicazione: ad esempio in un lavoro di gruppo il sorriso di A rivolto a B può apparire come un sorriso rivolto a tutti.

Equivoci comunicativi si possono creare anche a causa della limitatezza del campo visivo condizionato dall’inquadratura: ad esempio può passare il mio gatto di fianco a me senza essere inquadrato ed io assumo un atteggiamento tenero e distratto, che può essere inconsapevolmente percepito ed equivocato.

L’IMPEGNO ENERGETICO DA REMOTO


Dal punto di vista energetico il colloquio on line risulta a mio parere particolarmente impegnativo per entrambi gli interlocutori a causa di diversi fattori:

-l’impegno degli occhi, fissati sul campo ristretto del monitor,

-la mancanza del nutrimento empatico del “contatto” in presenza, che ha un potere vivificante anche quando non c’è il contatto fisico in senso stretto,

-la limitazione del movimento dovuta alla limitatezza dello spazio agibile per restare inquadrati nel monitor, che penalizza le escursioni laterali e i cambi di posizione e di postura  (nel colloquio in presenza la possibilità è molto più ampia perché più aperto è il campo visivo dell’interlocutore)

- la difficoltà inconsapevole di stare in contatto con l’altro facendo leva soltanto su due dei cinque sensi, mentre gli altri sono ingaggiati in uno spazio separato e quindi scissi.

La scissione avviene comunque anche per l’udito impegnato su due fronti e lo stesso vale anche in parte per la vista, in special modo per quanto riguarda la periferia del campo visivo.

-lo stress per la gestione emozionale per l’eventuale esposizione di ambiti personali e/o familiari più o meno rilevante a seconda dei  casi.

OSSERVAZIONI E SPERIMENTAZIONI


Durante le mie esperienze di lavoro in colloqui da remoto, ho rilevato che mi veniva riportato l’emergere sempre più frequente di un “appesantimento” del lavoro on line.

Molte persone, sia nell’ambito dei miei clienti che in quello della consulenza aziendale, mi riferiscono di provare sempre più spesso sensazioni di noia lavorando da casa, pur in un quadro di elementi positivi.

In effetti il “diversivo-divertente” dell’uscire di casa attraverso i mille stimoli dell’ambiente, il contatto con gli umani in presenza e il corroborante impegno bioenergetico del movimento, viene permutato con la “facilità” on line, rendendo il lavoro stanziale meno smart e più “smort” (mi sia concesso il gioco di parole).

Qualcosa di analogo può avvenire relativamente al colloquio psicologico: ricordo con che colonna sonora emozionale intensa entravo nei miei “viaggi” verso lo studio dei mie psicoterapeuti: fossero a Napoli, a Roma o a qualche fermata di tram da casa mia a Milano…

Ho osservato inoltre che si possono manifestare problemi relativi alla qualità della connessione con interferenze nella comunicazione e anche con intromissione di elementi emozionali inerenti soprattutto l’area dell’insicurezza, dell’ansia, dell’aggressività.

I silenzi ad esempio diventano più critici per l’ansia di problemi di connessione.

Anche il dialogo ne risulta disturbato da ritardi e sovrapposizioni che danno un senso di disagio e di “difficoltà di comunicazione”.

In tutti questi casi si possono inserire elementi transferali e controtransferali peraltro utilizzabili.

È molto significativo quanto può accadere a causa della discronicità tra segnale audio e video e più in generale per la riduzione della comunicazione prossemica dovuta alla mancanza di presenza fisica. 

Il dialogo ne viene condizionato e “ridotto”: si può produrre un senso di incertezza e di minore incisività, che può indurre comportamenti compensatori.

Una mia cliente manager si è scoperta mettere in pratica comportamenti comunicativi più assertivi esortativi e tendenzialmente autoritari.

Dall’altra parte è possibile che si vengano a creare insicurezze e tendenze alla passività nel dialogo, quasi a non voler disturbare ulteriormente una comunicazione già disturbata.

Dal punto di vista del lavoro espressivo, ho provato l’introduzione dell’uso di una maschera neutra per poter dare l’opportunità al cliente di proiettare su di essa ed esprimere emozioni emergenti (tipo via! basta! non mi vedi! ecc.).

Naturalmente è un lavoro delicato, anche perché la maschera viene indossata dal terapeuta, condizione per poter vedere agevolmente il cliente.

Un lavoro che comunque ho visto dare input molto interessanti e che è stato per questo apprezzato.

Elaborare le esperienze e le osservazioni che saranno probabilmente sempre più ampie e disparate è un compito che ci appartiene.

Il colloquio terapeutico da remoto potrà integrare quello tradizionale come lo smartworking integrerà il lavoro in presenza.

In molti ritengono che indietro non si tornerà: si potrà andare avanti aggiungendo e coniugando.

Da remoto quindi non sarà (e non è già) una via di ripiego, ma una strada ampia e complementare, praticabile con prudenza e intelligenza dei nuovi processi.

Bibliografia

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Lowen A. (trad.it.: Gli occhi, specchio dell’anima, Pulsazione N 3 Milano: SugarCo, 1978).

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Kurtz R., Prestera H.(1976) The body reveals.. New York: Harper & Row/Quicksilver Books (trad. it.: Il corpo rivela. Milano: SugarCo, 1976).

Perls F. S. (1969). Gestalt therapy verbatim. Lafayette: Real people press (trad.it.: La terapia gestaltica parola per parola”. Roma: Astrolabio, 1980).

Consiglio Nazionale Ordine Psicologi:

https://www.psy.it/allegati/documenti_utili/Raccomandazioni_CNOP_prestazioni_on_line.pdf

https://www.psy.it/wp-content/uploads/2015/04/Atti-Tipici_DEF_interno-LR.pdf